John Whitaker nell’episodio di Rising Above dedicato a lui dal canale video del Longines Global Champions Tour: «In molti mi chiedono per quanto tempo continuerò a montare: io rispondo che voglio farlo ancora a lungo perché ho un paio di stivali nuovi». Inimitabile. Irraggiungibile. Incomparabile.
John Whitaker oggi compie 70 anni essendo nato il 5 agosto 1955 a Outlane, nello Yorkshire, figlio degli agricoltori Donald e Enid, primo di quattro fratelli. È stata mamma Enid a mettere a cavallo il piccolo John, sui pony che trasportavano nei dintorni il latte delle loro mucche; e dopo John è stata la volta di Steven, nato nel 1957, di Michael, nato nel 1960, e poi del più giovane Ian. Chissà se Enid Whitaker, a sua volta amazzone in gare di salto ostacoli di modesto livello, si sarà resa conto guardando i suoi figli muovere i primi passi in sella che con loro stava prendendo avvio una delle più straordinarie storie di sport-familiare del mondo intero.
Una storia che ha visto prima John e Michael diventare per la Gran Bretagna un po’ quello che per l’Italia sono stati i fratelli Piero e Raimondo d’Inzeo, con vittorie e medaglie conquistate individualmente e con la squadra britannica ovunque nel mondo. E poi una storia che ha visto approdare alle competizioni internazionali anche i nipoti di Donald e Enid, cioè i figli dei quattro fratelli. Che sono tanti e molto bravi, oggi affermati ai massimi livelli dello sport.
Un nucleo familiare quindi numeroso e di grandissimo successo. Ma i giovani Whitaker potranno mantenersi ad alto livello con continuità solo se sapranno far tesoro dell’esempio che il ‘vecchio’ John ha offerto nel corso della sua lunga e straordinaria carriera. Prima di tutto nel rispetto assoluto e incondizionato dei propri cavalli, cosa che ha permesso a John Whitaker di arrivare a disputare gare di livello massimo in sella a soggetti in età anagraficamente molto avanzata. Anzi, per un lungo periodo agonistico i più efficaci compagni di gara di John sono andati dai 16 anni in su. Solo casualità? Certo che no, la risposta è ovvia. Significa grande perizia nel gestire le risorse fisiche e psichiche di cavalli tra l’altro molto diversi tra loro; significa saper organizzare la stagione agonistica con sapienza e lungimiranza; significa, in poche parole, esser campioni non solo nel momento in cui si entra in campo per il barrage di un Gran Premio.
John Whitaker è uno dei più grandi fuoriclasse della storia del salto ostacoli ma è rimasto un uomo semplice nell’accezione migliore e più nobile del termine. Semplicità intesa non come pochezza, bensì come considerazione solo di tutto ciò che veramente conta e dunque simmetrica eliminazione di tutto ciò che conta poco o che non conta per nulla. Forse è proprio per questo che John Whitaker è un campione senza tempo, anche se ciò che lo rende peculiare non è tanto la vittoria in sé stessa, quanto piuttosto il ‘modo’ in cui viene ottenuta: ancora una volta, naturale.
«Se non avessi fatto il cavaliere avrei fatto il contadino, l’agricoltore, l’unico altro mestiere che sarei capace di fare. E in effetti lo sono anche oggi, sebbene solo in parte. Amo questo stile di vita: lavorare all’aria aperta, essere a contatto con la natura e con gli animali, lavorare fisicamente con le mie mani. Quando sono a casa io faccio questo: guido il trattore, lavoro nei campi, pianto chiodi, taglio la legna. Sono nato in una fattoria, del resto».
Molti anni fa è stato messo in commercio un documentario che racconta la storia di Milton, probabilmente il cavallo che più di ogni altro viene associato nel cosiddetto immaginario collettivo a John Whitaker. I momenti in cui si vede il magico grigio saltare, o comunque essere impegnato in lavoro, sono solo durante i concorsi. Le immagini che ritraggono Milton e Whitaker a casa come sfondo presentano esclusivamente il verde dei prati dello Yorkshire segmentati dai classici muretti di pietra sotto i grigi cieli britannici. Sarà stato per esigenze di sceneggiatura, sicuramente di cavalli come Milton non ne nascono tanto di frequente, un cavaliere come Whitaker è di certo eccezionale: fatto sta che il messaggio è quello di un’equitazione schietta, semplice, essenziale, in cui la tecnica è sì importante ma senza mai arrivare a spersonalizzare il cavallo rendendolo un insieme di ingranaggi automatizzati. Perché i cavalli sono animali, sono natura, non macchine e dunque oggetti inanimati: per John Whitaker questo è un principio fuori discussione (anzi, per lui probabilmente non è nemmeno un principio: è così, e basta).
Ogni grande vittoria di John Whitaker ha sempre portato con sé l’inestimabile pregio di ricondurre l’equitazione – e più in particolare il salto ostacoli – fuori dai laboratori delle più cervellotiche alchimie pseudotecniche e di riconsegnarla all’ambiente originario dal quale proviene il rapporto uomo-cavallo: la natura. Whitaker monta così: in modo naturale. Tanto naturale che si potrebbe quasi pensare che lui non abbia mai dovuto imparare a farlo, ma che semplicemente l’abbia sempre fatto fin dalla nascita, prima ancora di camminare e parlare. E forse chissà, sarà stato proprio così.
Una naturalezza che in un certo senso trova conferma anche nell’umorismo tanto flemmatico – e veramente molto ‘british’ – quanto esilarante che caratterizza lo spirito di John Whitaker. Come quando a San Gallo (Campionato d’Europa 1995) un giornalista gli ha chiesto come mai Welham avesse abbattuto l’elemento di entrata di una gabbia: «Perché ha saltato troppo basso», è stata la risposta. A Mannheim (Campionato d’Europa ’97) gli è stato chiesto come mai Welham avesse fatto un rifiuto nella seconda manche della seconda giornata e lui non ha esitato un secondo: «Perché non ha voluto saltare». E che dire del suo commento alla sua prestazione in finale di Coppa del Mondo a Goteborg 1997, quando con Welham si è reso protagonista di due incredibili (per lui) errori di distanza su due ostacoli: «I miei avvicinamenti erano perfetti: erano gli ostacoli nel posto sbagliato… ».
Fino a oggi: «In molti mi chiedono per quanto tempo continuerò a montare: io rispondo che voglio farlo ancora a lungo perché ho un paio di stivali nuovi».